
La precarietà abitativa induce a fare meno figli: è una delle conclusioni a cui portano i dati del Caf Acli di Bologna, elaborati sulla base di oltre 8.000 dichiarazioni Isee oltre che sui modelli 730 e Imu.
Il 33% dei dichiaranti ha la casa di proprietà, di questi il 77% hanno figli. Il dato opposto è significativo: il 48% dei dichiaranti ai fini Isee è in affitto, il 19% occupa un alloggio in comodato d’uso da un parente o amico. Di questi, solo il 49% ha figli, a dimostrazione che la precarietà che induce a non mettere su famiglia non è più solo quella lavorativa, ma anche quella abitativa.
Il 63% di chi è in affitto, inoltre, ha un Isee sotto i 10.000 euro. Tuttavia, il 30% dei dichiaranti con Isee tra i 10.000 e i 20.000€ ha casa di proprietà. In molti casi, la differenza tra le due fasce reddituali è minima e si entra nello scaglione successivo proprio grazie alla presenza dell’immobile. Questo rende “più ricche” le persone ai fini Isee, facendo perdere loro dei benefici di welfare.
“Ma sappiamo – nota la presidente provinciale delle Acli di Bologna Chiara Pazzaglia – che per chi necessita di servizi di welfare l’immobile è per lo più un costo, un aggravio”.
“Senza contare – aggiunge Pazzaglia – che chi necessita di una stanza in più e, quindi, di comprare una nuova casa a Bologna, si trova ora a fare i conti con un aumento del 5% circa dei prezzi di mercato”.
A confermare la validità delle considerazioni delle Acli è Marco Marcatili di Nomisma: “Il 56% dei bolognesi ritiene di non avere un reddito adeguato per affrontare le spese per la casa. A fronte di una spesa imprevista di soli 5.000 euro, il 35% delle famiglie bolognesi non sarebbe in grado di affrontarla”.
Bologna si conferma infine una città di residenti precari e temporanei: delle 9.000 dichiarazioni Imu presentate dal Caf Acli quest’anno, meno della metà sono di residenti.
“Bologna – osserva il presidente provinciale del Patronato Acli Filippo Diaco – non attira le famiglie che vogliano costruire qua il loro futuro”.